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  • Italian Medical Research

Il bimbo capriccioso: e se fosse colpa dei genitori?



Se vuoi rendere infelice un bambino vi sono tante strade. Tra le principali è non dargli punti di riferimento. Spieghiamoci meglio. Per chiunque di noi si rechi in un luogo dove non è mai stato, avere una guida rasserena. Se poi ti spiega i monumenti, la storia, i monumenti, le genti che lo hanno abitato, tutto ciò aiuta a capire, ti fa sentire a tuo agio, permette non solo di “guardare” ma di vedere e capire.

Riportiamo questo esempio alla vita familiare, alla nascita di un bimbo. Fateci caso: quando nasce un secondo figlio in casa vi è più chiasso che con il primo, i tempi da dedicargli sono inferiori, la fatica è moltiplicata per due. Tuttavia, generalmente, questo neonato dorme più del primo, è “più tranquillo”, insomma ha un suo posto “naturale” e risulta meno “pesante” crescerlo. Con il primo figlio tanto tempo e spazio, eppure... In realtà il secondo bambino ha trovato dei riferimenti naturali. Un neonato ha un enorme capacità di interagire “a pelle” con il mondo circostante, coglie tutto ciò che è linguaggio non verbale, utilizzando i 5 sensi, che maturano aprendogli gradualmente le porte del mondo. Si ha l’impressione che sia in grado di leggere l’inconscio dei genitori: e probabilmente è cosi' visto che tutto ciò che è comunicazione non verbale solo in piccola parte è “controllato”. Vive quindi “tuffato” nella relazione e reagisce all’ambiente: se sente che il suo spazio è poco, si adegua. E tutto sommato è più facile adeguarsi che continuamente cercare la strada migliore: “non avere limiti alle volte che posso essere preso in braccio, allattato, coccolato, è stressante: voglio sempre di più, ma poi non so più cosa volere” sembra raccontare quel neonato! Moltiplichiamo questo meccanismo per le diverse tappe di acquisizione e avremo il “piccolo dittatore”. Non esiste un bambino capriccioso. Esistono modalità d’interazione del bimbo con i suoi riferimenti che cambiano con l’età, ma il bimbo non farà mai capricci, semplicemente esplora, forza il mondo che lo circonda, si adegua. E’ suo diritto avere genitori che vivano la loro vita e lo amino con tutto l’amore del mondo nell’unico modo in cui si può amare: pronti a dare la propria vita, se occorre, ma rispettando la propria vita, ancorchè pronti a donarla. Ma il dono ha valore se vale. Il rispetto di sè, la capacità dei due genitori di rinnovare i motivi dell’amore tra loro, la relazione che essi hanno con il loro mondo familiare e sociale, con il tempo, con il senso della vita, con il lavoro, con l’ottimismo o il pessimismo, la fiducia, l’autostima: tutti questi sono i riferimenti che saranno o meno dati a quel bambino nella misura in cui il genitore li possiede. Non saranno trasmessi se non in minima parte con le parole: è il nostro non verbale, le nostre azioni e la coerenza tra esse, che diranno tali limiti e permetteranno al bambino di interiorizzarli e viverli. Se si potesse educare con le “chiacchiere” saremo tutti genitori perfetti. Purtroppo educhiamo con ciò che noi siamo, tutti interi come persone. E il bimbo assorbe dall’interazione con noi. La prima medicina di cui ha bisogno diviene allora un accudimento “amorevole” in cui “amo te come amo me”, in cui “ tu sei frutto del nostro amore”. “Non ti carichiamo sulle spalle la felicità della nostra vita e della famiglia, che è nostra responsabilità costruire, ma ti accompagniamo in questo faticoso sentiero della vita aprendoti la strada, come una guida. Ti raccontiamo da dove vieni, i nostri sogni, le nostre emozioni. Ti rispettiamo come persona, ti consideriamo parte di noi e della comunità, di cui ti doniamo “le regole” e ti mostriamo il loro significato per noi. E lo facciamo consapevoli del tuo “linguaggio”, che cambia nelle diverse fasi della vita”. Tutto ciò significa dare “regole” al bambino: non sono regole esterne, non sono “norme staccate dalla vita, ma sono “i segreti condivisi”, che ti permettono di entrare con pienezza nel mondo di quella famiglia, il più bello possibile per quel bambino perché è il mondo dei suoi Dei, del suo Tutto. Le regole, intese come limite “scelto con libertà”, in cui non sono costretto ma “mi è data la possibilità” di fare delle scelte che avranno come frutto dolcissimo essere pienamente “parte di”, rendono felice un bambino. Certamente egli dovrà provare a romperle. Certamente in tante occasioni verificherà quale sia il suo potere, infrangendole e sperimentando quali sono le conseguenze delle sue azioni. Ad esempio, per essere al centro del mondo, niente di più semplice che fare il terrorista: è la logica di quel piccolino che si sente trascurato. Trascurato? Tutto è relativo: se sono stato un re, anche essere un principe mi fa sentire degradato!

Dietro un bimbo che fa capricci vi sono genitori che devono rivedere qualcosa, nella relazione con il bimbo, tra loro, con se stessi: Il mio linguaggio è adatto all’età e alla sensibilità di mio figlio? Quanto è stato chiaro il mio messaggio? Facciamo un esempio per toccare con mano come è insidiosa la strada per costruire relazioni efficaci. Guardiamo la differenza tra queste due situazioni registrate all’ingresso di un Supermercato, con due diverse mamme, ciascuna con due bambini al seguito: prima mamma: “Mi raccomando adesso non fate come al solito, non fatemi fare brutta figura, non fate capricci, e comportatevi come si deve che poi vi do un premio”; seconda mamma: ”Adesso entriamo al supermercato, compreremo solo una delle cose che mi indicherete vi piaceranno. Potete scegliere voi, ma solo una cosa. Ovviamente a condizione che rimaniate vicino a me e mi diate sempre la mano: siete d’accordo?

Senza accorgercene spesso le nostre “raccomandazioni” nascondono messaggi di sfiducia, di disistima, di stanchezza. Inoltre non indicano piste che valorizzino le scelte autonome, che spingano al coinvolgimento diretto. Il “ricatto” è poi ben altra cosa che “il riconoscimento” di una giusta ricompensa! Messaggi negativi erano nel discorso della prima mamma, mentre riconoscimento, coinvolgimento, stima nella seconda. Inutile dire che all’interno del market i figli della prima correvano per ogni dove mentre la seconda girava sorridente con i figlioli vicini! Tutto ciò certamente non tanto per il discorsetto fatto prima di entrare, quanto per la “storia” relazionale mamma-figli: l’educazione è un processo, non un episodio!

Se il bimbo piange e fa capricci il genitore deve interrogarsi. Il tema di tale interrogativi è cosi' lungo che richiederebbe ben altro spazio che i 20’ della mia relazione. Coinvolge ciò che noi oggi siamo come Società, e ancor prima la coppia genitoriale, ecc... Coinvolge altresi' le moderne conoscenze di come si sviluppa l’intelligenza di un bimbo, intesa non solo come intelligenza cognitiva ma emozionale: la capacità di essere in relazione con se stessi, di provare empatia, di inserirsi in un gruppo, di realizzare scelte, ecc... Ciascuno di questi aspetti dell’essere bimbo di oggi e adulto domani può essere coltivato e potenziato o mortificato dalle modalità di interazione bimbo-genitori-ambiente.

Quel capriccio, ripetuto, ostinato, ossessivo è un po’ come l’iperpiressia: è il campanello d’allarme che qualcosa non va! E noi Pediatri? Certamente dobbiamo sapere riconoscere una broncopolmonite, un’otite, la celiachia, ecc... Tuttavia il ben-essere del bambino sarà non solo per l’assenza delle malattie ma per come avrà “funzionato” il suo mondo sociale. Tutto ciò non è di nostra competenza, nè in nostro potere. Tuttavia dire che tutto ciò non ci riguarda sarebbe come dire che non ci interessa conoscere-promuovere le strade del ben-essere complessivo del bambino.

Per vivere propriamente il nostro ruolo di “Esperti del bambino” dobbiamo allora conoscere ciò che gli studi di psicologia e di counselling hanno oramai acquisito, interiorizzandoli, facendoli divenire “messaggio occulto” della pratica clinica di tutti i giorni. E poi, come e quando sarà possibile, attivare e renderci protagonisti di percorsi di sensibilizzazione culturale su tali temi.

Possiamo forse fare poco, ma forse ci sottovalutiamo. In tanti momenti della vita del bimbo i genitori ci chiedono di “spiegare” cosa sta succedendo: perché fa capricci? perché balbetta? perché rivuole il pannolino? perché picchia il fratello? perché viene nel lettone? perché vuole il succhiotto? ecc... Queste occasioni sono chiamate da Brazelton i “Touchpoints”: momenti in cui vi è possibilità di uno speciale dialogo con la famiglia, in cui i genitori sono recettivi a raccogliere inpute suggerimenti. In un approccio mai paternalistico, ma empatico, nell’ottica di un visone della medicina Patient and Family Centered (PFCC), potremo allora divenire partner di quella coppia per sviluppare il ben-essere del bambino a 360°. E’ un modo diverso di essere Pediatri: non più solo sentinelle come quelle di Buzzati nel suo libro “il Deserto dei Tartari”, ad attendere per decenni i nostri Tartari che non arrivano mai (la temuta leucemia, l’insidiosa encefalite, ecc..). Per carità, se non fossimo capaci di fare diagnosi e terapia non saremo Pediatri! Ma nell’attività quotidiana dobbiamo imparare sempre di più a “vedere” ciò che “guardiamo”. E certamente incontriamo poche encefaliti, ma tanti bambini capricciosi, tante difficoltà di rapporto di coppia, tanto dolore per relazioni disfunzionali. Il più delle volte forse non avremo tempo, forza, possibilità di fare granché. Ma forse qualche volta si. Per questo non possiamo prescindere dal dovere di accrescere la nostra cultura in tali campi, imparare a mettere gli occhiali giusti nelle diverse situazioni, agendo con “professionalità acquista” e non solo con il pur sempre gradito “buon senso”.

E’ una nuova frontiera della Pediatria? Dipende, credo, da noi. Ritengo sia un’esigenza vera, profonda, un bisogno irrinunciabile per rispondere con coerenza al sogno di essere “bravi Pediatri” per contribuire ad avere bambini più felici: ed a tale sogno non vogliamo rinunciare!


A cura di: Raffaele Arigliani

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